Speriamo che la Nazionale non sia lo specchio della Nazione,
altrimenti dovremmo tutti imitare Prandelli & Abete e dimetterci
irrevocabilmente da noi stessi. Ieri l’immagine dell’Italia nel mondo
era una combriccola di abulici che faticavano a mettere insieme tre
passaggi di fila, figuriamoci un tiro in porta. Quattro anni fa avevano
perso i vecchi e si invocò il ricambio generazionale. Ma quattro anni
dopo hanno perso soprattutto i giovani, il cui simbolo è l’indisponente
Balotelli, un eterno incompiuto spacciato per fuoriclasse da un sistema
mediatico che ha smarrito il senso delle proporzioni. Persino il mio
Immobile, che in Italia si era aggirato per le aree di rigore come un
lupo mannaro, sembrava un barboncino al guinzaglio della difesa
uruguagia.
Certo, l’arbitro dal cognome recidivo (Moreno), l’espulsione
esagerata di Marchisio e il comportamento da roditore di Suarez, che ha
affondato i suoi incisivi nella pellaccia di Chiellini. Ma il lamento è
un diritto che va meritato. E questa Italia depressa e deprimente, senza
talento né carattere, merita soltanto di tornarsene a casa e
ricominciare daccapo, con meno squadre e meno stranieri, come accadde
dopo la Corea del 1966. Quando fummo eliminati al primo turno per la
seconda volta consecutiva, proprio come adesso, e Gianni Brera scrisse:
«La difesa sballata, il centrocampo endemicamente fioco, l’attacco
composto di gente molto sollecita a impaurirsi. E dove credevamo di
andare?». Più che un’analisi, una profezia.
La Stampa, 25.6.2014
La Stampa, 25.6.2014
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