Graziano Pellè, il rigorista azzurro che come un banchiere di
Siena millantava di fare il cucchiaio ai tedeschi e ha finito per
scavarci la fossa, andrà a fare cucchiaini in Cina per la modica cifra
di un milione e duecentomila euro al mese. Se uno fa notare che
guadagnerà da solo come mille dipendenti di un call center, le
cornacchie del turbocapitalismo starnazzano: è il mercato! è il mercato!
Ma guadagnerà anche come Messi e Ronaldo, che sono un tantino più forti
di lui, e qui la presunta meritocrazia del mercato non c’entra. C’entra
che Pellè si fa pagare carissimo la destinazione disagiata (il
campionato cinese ha lo stesso fascino di una cravatta di Di Maio) e che
chi lo ha ingaggiato applica al calcio la lezione devastante della
finanza smargiassa: valutare molto un bene che vale poco per fare
credere ai boccaloni che valga qualcosa. In fondo Pellé in Cina per
quarantamila euro al giorno è l’equivalente calcistico di un derivato.
Sempre che poi glieli diano sul serio, tutti quei soldi: non risulta che
il sistema cinese brilli per trasparenza e affidabilità.
Ciò premesso, se un quotidiano di Shanghai in vena di
sopravvalutazioni giornalistiche fosse disposto a sganciare un decimo
della cifra, pagamento anticipato, potrei persino prendere in
considerazione l’ipotesi di andarvi a scrivere il «Buongiolno» per un
paio d’anni. E senza neanche ammorbare l’uditorio con le solite frasi
fatte sull’esperienza stimolante e il bisogno di nuove sfide. Coi denari
guadagnati ricompro Pellè e lo metto in cucina a lucidare cucchiai.
La Stampa 12.7.2016
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