martedì 12 luglio 2016

Graziano Pellè, il rigorista azzurro che come un banchiere di Siena millantava di fare il cucchiaio ai tedeschi e ha finito per scavarci la fossa, andrà a fare cucchiaini in Cina per la modica cifra di un milione e duecentomila euro al mese. Se uno fa notare che guadagnerà da solo come mille dipendenti di un call center, le cornacchie del turbocapitalismo starnazzano: è il mercato! è il mercato! Ma guadagnerà anche come Messi e Ronaldo, che sono un tantino più forti di lui, e qui la presunta meritocrazia del mercato non c’entra. C’entra che Pellè si fa pagare carissimo la destinazione disagiata (il campionato cinese ha lo stesso fascino di una cravatta di Di Maio) e che chi lo ha ingaggiato applica al calcio la lezione devastante della finanza smargiassa: valutare molto un bene che vale poco per fare credere ai boccaloni che valga qualcosa. In fondo Pellé in Cina per quarantamila euro al giorno è l’equivalente calcistico di un derivato. Sempre che poi glieli diano sul serio, tutti quei soldi: non risulta che il sistema cinese brilli per trasparenza e affidabilità. 

Ciò premesso, se un quotidiano di Shanghai in vena di sopravvalutazioni giornalistiche fosse disposto a sganciare un decimo della cifra, pagamento anticipato, potrei persino prendere in considerazione l’ipotesi di andarvi a scrivere il «Buongiolno» per un paio d’anni. E senza neanche ammorbare l’uditorio con le solite frasi fatte sull’esperienza stimolante e il bisogno di nuove sfide. Coi denari guadagnati ricompro Pellè e lo metto in cucina a lucidare cucchiai.
La Stampa                                                                                                             12.7.2016

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