HANNO SCRITTO.....
SALA DISPETTO
Lo zio d’America esiste, si chiama Giuseppe Giuffrè e un bel giorno si presenta alla Asp7 di Ragusa con in testa l’idea di regalare due milioni di euro all’ospedale della sua città d’origine. Per formalizzare la donazione ha fissato un incontro col manager della struttura Maurizio Aricò, luminare della lotta alla leucemia con una visione molto personale del concetto di rispetto per il prossimo, noto per le sue abitudini di indossare il farfallino e di dare buca agli appuntamenti (da cui il soprannome di «Voce del Silenzio», affibbiatogli da un sindacalista).
Giuffrè e il suo assegno benedetto arrivano puntuali e si siedono in sala d’aspetto. Passano i minuti, i quarti d’ora, le mezze ore. Il brav’uomo fa presente alla segretaria di avere preso un aereo apposta e di non essere lì per chiedere soldi, ma per darne. Gli viene risposto di pazientare ancora un po’, tra breve il dottore si degnerà di riceverlo. Pazienta un’ora, pazienta due, alla fine anche uno zio d’America si deprime. Lui e l’assegno rispiccano il volo, lasciando l’ospedale di Ragusa orfano di due milioni.
Pensiero malizioso da gufo: le cose sarebbero andate diversamente, se Giuffrè avesse destinato parte della cifra a un’opera chirurgica di oliatura? L’onestà dei funzionari pubblici è un dogma a cui ci inchiniamo, in assenza di prove contrarie. Non così la loro capacità di trattare i cittadini contribuenti con gentilezza e buona educazione. Una cosa è certa: tutto si potrà dire della nostra sanità pubblica, tranne che manchi di coerenza. In Italia le code in ospedale non le fanno solo i pazienti, ma anche i benefattori.
La Stampa, 6.8.2015
NONNO COMANDAMENTO
Massimo Gramellini
Gentile signor Furfaro, autista della linea 1 di Genova, a nome dell’associazione «Tengo famiglia» vorrei congratularmi per il premio Menefreghista dell’Anno da lei vinto con pieno merito. Ricorderò i fatti che hanno portato la giuria ad assegnarle il prestigioso riconoscimento. Saranno state le tre e mezza di notte sul suo autobus fermo al capolinea, quando dei bulli, aizzati dalla ragazza del capo, hanno ridotto in fin di vita a suon di sprangate un passeggero che avevano preso per gay.
Lo zio d’America esiste, si chiama Giuseppe Giuffrè e un bel giorno si presenta alla Asp7 di Ragusa con in testa l’idea di regalare due milioni di euro all’ospedale della sua città d’origine. Per formalizzare la donazione ha fissato un incontro col manager della struttura Maurizio Aricò, luminare della lotta alla leucemia con una visione molto personale del concetto di rispetto per il prossimo, noto per le sue abitudini di indossare il farfallino e di dare buca agli appuntamenti (da cui il soprannome di «Voce del Silenzio», affibbiatogli da un sindacalista).
Giuffrè e il suo assegno benedetto arrivano puntuali e si siedono in sala d’aspetto. Passano i minuti, i quarti d’ora, le mezze ore. Il brav’uomo fa presente alla segretaria di avere preso un aereo apposta e di non essere lì per chiedere soldi, ma per darne. Gli viene risposto di pazientare ancora un po’, tra breve il dottore si degnerà di riceverlo. Pazienta un’ora, pazienta due, alla fine anche uno zio d’America si deprime. Lui e l’assegno rispiccano il volo, lasciando l’ospedale di Ragusa orfano di due milioni.
Pensiero malizioso da gufo: le cose sarebbero andate diversamente, se Giuffrè avesse destinato parte della cifra a un’opera chirurgica di oliatura? L’onestà dei funzionari pubblici è un dogma a cui ci inchiniamo, in assenza di prove contrarie. Non così la loro capacità di trattare i cittadini contribuenti con gentilezza e buona educazione. Una cosa è certa: tutto si potrà dire della nostra sanità pubblica, tranne che manchi di coerenza. In Italia le code in ospedale non le fanno solo i pazienti, ma anche i benefattori.
La Stampa, 6.8.2015
NONNO COMANDAMENTO
Massimo Gramellini
Gentile signor Furfaro, autista della linea 1 di Genova, a nome dell’associazione «Tengo famiglia» vorrei congratularmi per il premio Menefreghista dell’Anno da lei vinto con pieno merito. Ricorderò i fatti che hanno portato la giuria ad assegnarle il prestigioso riconoscimento. Saranno state le tre e mezza di notte sul suo autobus fermo al capolinea, quando dei bulli, aizzati dalla ragazza del capo, hanno ridotto in fin di vita a suon di sprangate un passeggero che avevano preso per gay.
Durante l’aggressione, lei è sceso a mangiare un panino.
Tornando sull’autobus lo ha trovato sporco di sangue, ma ha pensato
fosse birra: immagino birra rossa, irlandese. Interpellato dalla
questura sulle ragioni del suo distacco dalle miserie terrene, ha
spiegato di avere seguito l’aureo consiglio del nonno, quello di
farsi sempre i fatti propri.
Forse lo ignora, ma il suo disinteresse assoluto per i destini di
qualsiasi comunità diversa dalla «famigghia» di appartenenza si
inserisce in una luminosa tradizione che percorre i secoli e i
racconti di mafia, attraversa gli osti dei «Promessi Sposi» e
passando da suo nonno e dal senatore Razzi arriva fino a lei. Se
avesse affrontato la banda a mani nude sarebbe stato un eroe e a
nessuno francamente si può chiedere tanto. Ma se avesse fatto una
telefonata al 113, magari mentre aspettava che le farcissero il
sandwich, sarebbe stato un cittadino. Troppa fatica.
Nessun commento:
Posta un commento