LA TASSA OCCULTA DELLE FAMIGLIE CAMPANE
di Giancristiano Desiderio
La famiglia campana – un papà, una mamma, due bimbi, una
casetta di proprietà – è la più tartassata d’Italia: paga ben
500 euro in più rispetto al resto d’Italia. Lo studio di
Bankitalia, illustrato ieri da Paolo Grassi, è fin troppo preciso:
su un reddito annuo di appena 43mila euro, se ne vanno per la tasse
locali ben 2400. Le famiglie e le aziende della Campania, con piccole
differenze tra le province, sono quelle che reggono un più alto
carico di tributi locali. Infatti, negli ultimi anni il prelievo
fiscale degli enti locali è cresciuto di ben 160 euro con uno stacco
dalla media nazionale di oltre 50 euro. Insomma, in Campania si paga
di più. Perché?
I motivi sono vari ma tra i tanti ce n’è uno prevalente. In
Campania si paga una tassa occulta perché la stragrande maggioranza
dei comuni è indebitata. Sono sempre di più i municipi che sono
costretti a riconoscere debiti fuori bilancio o a dichiarare il
dissesto finanziario nell’ultimo disperato e controllato tentativo
di ripianare i debiti. In soldoni, le casse sono vuote e per
garantire anche solo il pagamento degli stipendi degli impiegati
comunali si rincarano le tasse di ogni ordine e grado: Tari, Tasi,
addizionali varie, anche l’acqua. Tutto fa brodo ma il conto
finale, che ricade principalmente sulle famiglie, è sempre più
salato. Questa tassa occulta comunale è il frutto di un federalismo
fiscale che nel Mezzogiorno – e in questo caso soprattutto in
Campania – ha avuto un’applicazione perversa. Il principio
federale applicato al fisco mirava a ridurre la distanza tra chi
versa i soldi e chi li amministra. La riduzione della distanza
avrebbe dovuto aumentare il controllo da parte dei cittadini e far
crescere in responsabilità contabile gli amministratori. Il classico
principio della responsabilità istituzionale. Sennonché, in
Campania il principio di responsabilità è stato fin troppo
facilmente capovolto nel principio di irresponsabilità e invece di
aumentare controlli e coscienza civica sono salite vertiginosamente
le tasse.
L’effetto perverso del federalismo fiscale in salsa meridionale
forse lo si poteva prevedere: si poteva intuire che ciò che funziona
in teoria non è detto che funzioni in pratica. La teoria dice che
con il federalismo chi amministra male i soldi dei cittadini sarà
sostituito, ma la pratica dimostra che chi gestisce male è
confermato e anche quando si vorrebbe cambiare non sempre il
cambiamento è possibile o migliore del peggio. Insomma, il
federalismo fiscale in Campania è rimasto vittima della qualità
clientelare della politica locale che al ricambio della classe
digerente preferisce il ricorso alla leva fiscale. Un circolo vizioso
che impoverisce le famiglie e aumenta la smobilitazione sociale: la
nuova emigrazione.
tratto dal Corriere del Mezzogiorno del 20 giugno 2015
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