mercoledì 29 gennaio 2014

LA RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE
In questi giorni sulla stampa, nei telegiornali e nei talk show politici non si fa che parlare di legge elettorale, riforma del Senato e riforma del titolo V della Costituzione, le tre proposte sulle quale Matteo Renzi ha raggiunto un'intesa con Silvio Berlusconi.
Ma se i due primi temi sono abbastanza chiari e di essi ultimamente se ne è parlato molto di più, il terzo è un po’ più oscuro, ma non meno importante(giusto, sacrosanto e urgente rivedere la riforma del titolo V della Costituzione del 2001 che tanti danni ha fatto al Paese) 
Di che si tratta?
Il Titolo V è quella parte della Costituzione italiana in cui vengono “disegnate” le autonomie locali: comuni, province e regioni.
L’attuale struttura delle regioni deriva da una serie di riforme del Titolo V cominciate negli anni Settanta e terminata con la riforma del 2001(un errore madornale del centrosinistra). Lo scopo di tutte queste riforme, compresa quella del 2001, era dare allo Stato italiano una fisionomia più “federalista”, nella quale i centri di spesa e di decisione si sarebbero spostati dallo Stato centrale agli Enti locali, “avvicinandosi” così ai cittadini.
Nel corso degli anni le regioni hanno ricevuto sempre più competenze (la più importante è la gestione della sanità) e una sempre maggiore autonomia. Con la riforma del 2001, in particolare, alle regioni fu garantita autonomia in campo finanziario (con cui poter decidere liberamente come spendere i loro soldi) e organizzativo (con cui poter decidere quanti consiglieri e quanti assessori avere e quanto pagarli). La riforma inoltre specificò quali erano le competenze esclusive dello Stato, lasciando alle regioni il compito di occuparsi di tutte quelle non nominate esplicitamente. 
In sostanza: dagli anni Settanta alla riforma del 2001, le regioni hanno visto crescere in tutti i campi la loro autonomia organizzativa e di spesa senza che di pari passo crescesse la loro autonomia fiscale. Le regioni, quindi, si trovavano ad avere la possibilità di spendere sempre più denaro in un numero sempre maggiore di campi, ma nel contempo senza doversi impegnare a recuperare quel denaro: senza che fossero soldi loro. 
Le imposte che vengono alzate per riparare ai buchi nei bilanci regionali, infatti, sono imposte statali; e aumentano per decisione del Parlamento (che si prende anche tutte le critiche). Molto spesso lo Stato aiuta direttamente le regioni, prelevando il denaro dalla fiscalità generale (quella che pagano tutti i cittadini) e utilizzandolo per ripianare le perdite di una sola regione. In questo modo si toglie anche agli abitanti della regione l’incentivo a punire gli amministratori locali inefficienti. Se la perdita viene spalmata su tutti gli italiani, gli abitanti della regione non subiscono particolari danni da una gestione poco oculata dei soldi pubblici (e paradossalmente alcuni di loro potrebbero anche riceverne dei vantaggi, come per esempio parenti assunti in regione per svolgere incarichi inutili).
Della necessità di riformare il Titolo V della Costituzione si parla oramai da diversi anni. Nel 2010, per esempio, il sociologo Luca Ricolfi scriveva: «L’aumento delle competenze degli Enti territoriali – Regioni, Province, Comuni – non si è accompagnato a un parallelo aumento della loro autonomia fiscale, sicché ogni Ente si è trovato a poter incrementare le spese senza dover pagare alcun prezzo politico in termini di inasprimento delle tasse locali».
Le critiche si sono fatte ancora più dure a partire dall’autunno del 2012, quando sono nati una serie di scandali in quasi tutte le regioni italiane. I casi erano tutti simili e riguardavano consiglieri regionali sospettati di aver utilizzato a sproposito gli ampi fondi elettorali messi a loro disposizione dai consigli regionali, come “rimborso” per le spese affrontate per mantenere un rapporto con gli elettori.
Scandali simili si sono succeduti anche nelle ultime settimane. Molti sono rimasti colpiti dal fatto che lo Stato non potesse intervenire in alcun modo per mettere rimedio a queste situazioni. Il Titolo V, infatti, protegge le regioni e quindi impedisce allo Stato di obbligarle, per esempio, a ridurre le indennità dei consiglieri o a diminuire l’entità dei fondi destinati ai gruppi consiliari.
Con la riforma del 2001 fu stabilito anche che lo Stato, le Regioni e gli Enti Locali hanno pari dignità fra loro. Nessuno di questi soggetti giuridici ha potere di sovrapporsi all’altro. 
Di conseguenza vengono eliminati Coreco (comitati regionali di Controllo) attraverso i quali la Regione controllava gli atti amministrativi dei Comuni (e delle province).
Determine e delibere non sono più soggette a controllo esterno. Inizia una fase nuova per gli enti locali: ognuno si regola come crede tanto non deve dare conto a nessuno. 
Ed allora i Comuni possono effettuare tutti i pasticci che vogliono ?
No, i cittadini non dovrebbero mandare alla guida dei Comuni persone poco serie e  incompetenti. Il primo e vero controllo sugli Enti Locali lo devono effettuare i cittadini al momento del voto e dopo devono seguire la vita amministrativa, consapevoli (come dovrebbero essere), che sprecare il denaro dell'Ente equivale a danneggiare le tasche delle famiglie che vivono nel territorio dell'Ente medesimo.
Non si può volere la democrazia ed il potere dal basso se i rappresentanti dei cittadini vengono scelti fra coloro che sono digiuni in materia amministrativa e che vanno ad occupare un incarico solamente per scaldare la sedia, per alzare il dito o per curare gli interessi propri o di famiglia.
La democrazia è un sistema bellissimo ed insostituibile; un sistema aperto alla partecipazione di tutti, ma è anche un sistema che richiede responsabilità, non ammette che gli incompetenti possano mettersi di traverso (come purtroppo spesso accade).
Certo, se i cittadini al momento del voto elettorale pensano di scegliere chi li deve guidare votando l'amica del mio amico, il figlio del compare , il cugino della sorella di Pasqualina etc. è chiaro che a pagare i prezzi dell’irresponsabilità e della cecità saranno gli stessi cittadini.

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