Poletti, compagno Poletti, ma come si fa a dire una boiata del genere?
E non me ne frega nulla delle sue precisazioni tardive. Provi solo un
secondo ad immaginare di avere di fronte un ragazzo che è dovuto
scappare a Londra a fare il cameriere o il pizzaiolo per trovare un
lavoro decente, o uno come me che è fuggito a fare ricerca alla Columbia
University di New York perché di lavorare come ricercatore a 1000 euro al mese
fino ai cinquant’anni non ne avevo nessuna voglia. Preferisce non
averci tra i piedi? Forse ha ragione, perché se l’avessi davanti, io le
vorrei porre alcune domande, il pizzaiolo forse le darebbe una randellata in testa con la pala per le margherite.
Caro ministro, ma lei conosce l’Italia, studia, si applica? Credo di no. Guardi questa tabella.
In Italia si laurea solo il 20 per cento della popolazione,
meno della metà dei Paesi civili. Oltretutto, chi ha una laurea in
Italia è costretto spesso a fare un lavoro che non c’entra niente coi
suoi studi. Conosco una marea di giovani che sono laureati in Lettere e
lavorano in un call center a 300 euro al mese, o in
Legge che fanno i camerieri. Tra i miei amici statunitensi, tutti hanno
un lavoro adeguato al loro corso di studi: chi ha la laurea in
Ingegneria fa l’ingegnere, chi ha la laurea in Cinema lavora nel cinema,
ecc.
Ministro, guardi i dati e mi spieghi, per favore. Da noi si laurea la metà o un terzo dei giovani che si laureano in Gran Bretagna o negli Usa. Lo capisce che se già il misero 20 per cento dei laureati non trova lavoro intellettuale vuol
dire che in Italia i posti di lavoro per un lavoro intellettuale non ci
sono? Quindi, il problema non è che ci sono troppi laureati (no, sono
troppo pochi), è che il mercato del lavoro intellettuale non offre sbocchi, e per questo un giovane laureato è costretto a fuggire all’estero.
In altre parole, siamo diventati un paese dove c’è bisogno solo di
meccanici, contadini e pastori. Ma per fare quello ci sono già i
marocchini, i nigeriani e i rumeni che paghiamo 3 o 4 euro l’ora, magari
con i voucher o addirittura in nero. Cioè siamo diventati un paese retrogrado,
di azienda manifatturiera, agricoltura e pastorizia, come il Bangladesh
o la Colombia. Niente di male, ovviamente, ma basta saperlo.
Lo sa, caro ministro, che negli Usa il 50 per cento dei ragazzi si laurea e la disoccupazione giovanile è al 4 per cento, mentre da noi si laurea il 20 per cento, ma la disoccupazione giovanile è al 36 per cento?
E con il lavoro manuale non siamo messi meglio. Forse, caro ministro, doveva venire con me a Monfalcone, davanti ai cancelli della Fincantieri. Doveva incontrare l’operaio Giampaolo,
29 anni di lavoro sulle spalle, che in lacrime, mentre fiumane di
lavoratori uscivano dalla fabbrica, mi ha confessato: “Questa sinistra
non mi rappresenta più. Cos’è la sinistra oggi? Guarda: questi operai,
oggi ci sono, domani non ci sono più. Chi ci pensa a noi?”. E mi ha
spiegato che solo 850 – dei 10.000 operai di Monfalcone – sono assunti a tempo indeterminato
direttamente da Fincantieri, mentre tutti gli altri lavorano in ditte
terziste che ti assumono con i voucher o con contratti di un giorno, una
settimana o un mese (la famosa flessibilità) per paghe da fame di 800-1000 euro al mese.
Solo i tanti bengalesi, rumeni o croati possono accettare questi salari
da fame, perché vivono in dieci in un appartamento o scappano appena
possono a casa loro, oltre-confine. Per questo, molti ragazzi italiani
fuggono da Monfalcone e vanno all’estero. E nel resto d’Italia è lo
stesso.
In Italia, caro ministro, la scuola è fallita e il sistema lavoro fa ancora più schifo, lo sa? No, forse non lo sa. Perché ho come l’impressione che lei il mercato del lavoro non lo ha mai dovuto affrontare davvero. Guardi, questo è il suo scarno curriculum.
Niente laurea, lei è un perito agrario,
ma mica è un problema, siamo abituati ai ministri non laureati. Ehi,
non fraintenda: è perfino superfluo dire che io apprezzo e ammiro
chiunque, laureato e non laureato. Don’t judge a book from its cover,
direbbero all’estero. Capisce cosa vuol dire? Lo sa l’inglese?
Credo di no. Mi pare di capire dal suo curriculum che il suo cursus
honorum si è svolto tutto tra le protettive e accoglienti braccia del
partitone emiliano, quello di sinistra, quello che pensava ai giovani e
ai lavoratori. Forse lei non ha mai dovuto emigrare per trovare lavoro,
non ha mai dovuto imparare in fretta una lingua straniera perché se non
capiva le ordinazioni la licenziavano, non ha mai dovuto sottoporsi
all’ esame di una decina di spietati professori anglosassoni che
valutavano i tuoi lavori scientifici con il crivello e poi ti dicevano
di preparare una lezione in inglese in due ore.
Ecco, a uno come me, a uno come il mio amico Ottavio – che ora è professore alla Columbia University -, o al mio amico Giancarlo
– che era lavapiatti e ora ha una catena di ristoranti e fa le
tagliatelle più buone di New York, lei ha detto che: “E’ bene che stiano
dove sono andati, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non
averli più fra i piedi”. Che rispetto per i lavoratori, proprio da illuminato uomo di sinistra.
Sa cosa penso? Che uno come lei, per dire, alla Columbia University di New York (Usa) dove ho lavorato io, non l’avrebbero mai preso, e neanche al Ristorante Ribalta di New York, guarda caso. Caro compagno Poletti, ma non è che le brucia perché col suo curriculum le è già andata grassa che l’hanno preso alla Legacoop di Budrio (Italy) e poi è persino diventato ministro?
Sa cosa penso? Che uno come lei, per dire, alla Columbia University di New York (Usa) dove ho lavorato io, non l’avrebbero mai preso, e neanche al Ristorante Ribalta di New York, guarda caso. Caro compagno Poletti, ma non è che le brucia perché col suo curriculum le è già andata grassa che l’hanno preso alla Legacoop di Budrio (Italy) e poi è persino diventato ministro?
Giuseppe Casadio
1 commento:
Il problema non sono i giovani che se ne vanno, ma i tromboni che purtroppo restano in Italia
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