Durante le lezioni i ragazzini di una media di San Francesco al Campo, nel Torinese, riprendono gli insegnanti con il telefonino (il
cui uso in classe è severamente proibito, dunque tacitamente tollerato)
per poi metterli alla berlina sui social. I prof si lamentano e
ventidue teleoperatori in erba finiscono sospesi da scuola. Molti
genitori insorgono. Per sgridare la spregiudicata prole? Giammai.
Deprecano la rigidità degli insegnanti: perché prendersela per una
ragazzata che alla peggio finirà sotto gli occhi di qualche milione di
persone?
Con l’assoluzione urbi et orbi, soprattutto orbi, dall’abuso di
Instagram e Facebook, si restringe sempre più la sfera dei comportamenti
scolastici attribuibili ai figli. Se tirano uno schiaffo al prof, la
colpa è del prof che non ha saputo incutere nella scolaresca il dovuto
rispetto. Se gli rubano il registro, la colpa è del prof che lo ha
lasciato in vista: una sorta di istigazione a delinquere. Ma anche se
gli mettono una mano di vernice sulla sedia e lui/lei ci spalma i
pantaloni o la gonna sopra, la colpa è del prof che non ha controllato
prima di sedersi. E se gli fratturano il malleolo con una mazza da
baseball? Che domande: la colpa è del prof, anzi della scuola intera,
che ha permesso a un oggetto contundente di circolare indisturbato per i
corridoi. Se poi un angioletto di mamma e papà prende due in tutte le
materie, la colpa è ovviamente e unicamente del prof che non ha saputo
stimolare l’allievo e interessarlo alle lezioni. In realtà ci sarebbe
una colpa che non si può dare ai figli (e tantomeno al prof): di avere
dei genitori così.
La Stampa, 5.11.2015
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