L’INGRATITUDINE
Qualche giorno fa un conoscente
mi raccontava, amareggiato, di torti subiti da parte di un parente da lui sempre aiutato ogni qualvolta ne aveva avuto
bisogno. L’ascoltavo distratto, il mio pensiero era andato indietro di anni, a
quando una caro amico si lamentava con me del comportamento ingrato di un
collega da lui aiutato e beneficato in tutti i modi e in tantissime occasioni e le
circostanze erano vere perché ne ero a conoscenza.
L’ingratitudine è una cosa diffusa più di quanto, a volte,
non si pensi. Ognuno di noi conosce questa cosa e magari l’ha vissuta, come si
dice, sulla propria pelle.
La Storia è piena di episodi di
ingratitudine. Celebre il caso di Giulio Cesare che aveva adottato, aiutato a
studiare, elargito di doni e di danaro Bruto, il quale, per tutta risposta, si
era unito ai congiurati assassini.
“Tu quoque, Brute, fili mi! :
Anche tu, Bruto, figlio mio!, fu il doloroso rimprovero di Cesare quando si
vide colpito dal pugnale di Bruto.
Ma da dove nasce questo
sentimento così frequente?
Di recente mi sono imbattuto casualmente
in un libro nel quale la scrittrice racconta tante storie
che insegnano a riconoscere la forma di rancore spesso nascosta
nell’ingratitudine.
A giudizio dell’autrice “la
sindrome rancorosa del beneficato” è
qualcosa di più di una forma di ingratitudine, comune, peraltro, ai più.
Senza che i molti “Beneficati”
abbiano la capacità, la forza, la decisionalità interiore, il coraggio e,
perfino, l’onestà intellettuale ed etica di prenderne atto.
La “Sindrome Rancorosa del Beneficato”
è, allora, quel sordo, ingiustificato rancore (il più delle volte covato
inconsapevolmente; altre volte, invece, cosciente) che coglie come una
autentica malattia, chi ha ricevuto un beneficio, poiché tale condizione lo
pone in evidente “debito di riconoscenza” nei confronti del suo Benefattore. Un
beneficio che egli “dovrebbe” spontaneamente riconoscere ma che non riesce,
fino in fondo, ad accettare di aver ricevuto. Al punto di arrivare, perfino, a
dimenticarlo o a negarlo o a sminuirlo o, addirittura, a trasformarlo in un
peso dal quale liberarsi e a trasformare il Benefattore stesso in una persona
da allontanare, da dimenticare se non, addirittura, da penalizzare e
denigrare. ( Libro: “Ingrati-Sindrome rancorosa del Beneficato” di Maria Rita
Parsi)
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