La politica del 2025: il gioco della divisione
Benvenuti nella politica del 2025. Quella che non risolve, ma infiamma. Che non unisce, ma mette gli uni contro gli altri, ogni singolo giorno, su ogni singola questione.
Il gioco è sempre lo stesso: creare un nemico. Non importa quale. Destra sinistra, Gli immigrati, i poveri, i giovani, i pensionati, le donne, i lavoratori pubblici, quelli del reddito di cittadinanza, i meridionali, chi scende in piazza.Non conta chi, l’importante è dividere. Perché se litighiamo tra noi, nessuno guarda chi davvero prende le decisioni. Nessuno chiede conto del potere.
Sul piano internazionale è uguale, solo su scala più grande.
I conflitti vengono raccontati come guerre tra buoni e cattivi. Ucraina, Gaza, Medio Oriente: tutto ridotto a tifo, a schieramenti da stadio.
Niente contesto, niente domande, niente dubbi, solo propaganda. Chi chiede pace è accusato di tradimento. Chi invoca il dialogo è un ingenuo. Così il dibattito muore, e con lui la politica estera come pensiero strategico.
Nel frattempo, i mercati decidono tutto. La grande finanza, i grandi gruppi tecnologici, comandano più dei governi.
Le multinazionali pagano meno tasse dei lavoratori. I miliardari crescono mentre i servizi pubblici si sgretolano.
Ma anche qui, invece di combattere le disuguaglianze, si preferisce mettere il precario contro l’assistito, l’insegnante contro l’imprenditore, l’operaio contro il migrante.
È un teatro ben rodato. E noi, spettatori e comparse, ci caschiamo ogni volta.
Anche a livello locale, il quadro non cambia.
Pontelatone è solo lo specchio di un’Italia in miniatura, dove (non da oggi) la politica si riduce alla personalizzazione del potere e il consenso viene cercato non con la progettualità ma con la contrapposizione.
Una politica feudale, mascherata da modernità e i cittadini vengono mobilitati solo per legittimare decisioni già prese.
Così si distrugge la fiducia. Così si inquina la democrazia, goccia dopo goccia. Così cresce il silenzio.
E la cosa più grave? È che funziona. Funziona perché parlare alla pancia è più facile che parlare alla testa. Perché dare un colpevole paga sempre, anche se non risolve nulla. Perché costruire richiede tempo, ma distruggere è un attimo.
Ma se non spezziamo questo meccanismo, se non smettiamo di giocare alla guerra interna permanente, finiremo tutti schiacciati sotto il peso di una politica che ha perso la sua anima.
La verità è che siamo stanchi. Stanchi di essere costantemente trasformati in tifoserie, mentre la casa brucia. È ora di uscire dalla trappola. Di dire basta a chi divide.
Di ricordare che siamo cittadini, non sudditi. E che la politica, se non serve a migliorare la vita delle persone, è solo un altro spettacolo indecente.
Nessun commento:
Posta un commento